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58 scritti di renato serra

Ah la Romagna di Beltramelli! Bisogna essere romagnoli come noi, per gustarne come si conviene le meraviglie.

È un paese, dove alle solitudini alpestri succedono le pianure, popolate di immense città, e poi le amare lande interminate, le foreste millenarie. È un paese vasto e selvaggio; il mare lo circonda urlante, livido, con le ignote voragini.

Le cose vi appaiono come trasfigurate da una luce apocalittica; hanno bagliori foschi e sanguigni, iridiscenze portentose; ad ora ad ora si rivelano nel lume roseo dell’aurora, o nel lividore spettrale di un lampo che squarci la tenebra. Un esempio solo. Una città, che porta il nome di Ravenna, vi appare «come un’enorme muraglia frastagliata, fusa nel più solido metallo di fronte al cielo vesperale, luminoso di rossi violenti.... Le sue alte torri erano come antenne nere, accennanti un saluto al mare.... Io vidi la Taciturna coronarsi di immobili incandescenze per i fuochi del sole....». Essa è anche «la terribile città nascosta in fondo agli orizzonti, Ravenna cupa, circondata perennemente da un’immane turba di uomini che la fame sogguarda e il mistero assedia».

Dall’aspetto di queste città, che appaiono a tratti, sul limite degli orizzonti, si può intendere quali e quante siano le grigie lande, «le terre deserte, dove nascono i nenufari su le grandi acque rispecchianti il sole e le stelle», «le foreste e i boschi remoti dove il mistero aleggia fra gli innumerevoli tronchi»; le montagne e la marina.