185Che imposero le leggi, affin che ognuno
Del braccio e del volere accresca il nerbo.
Con securtade a faticare intento
Per sè, pe’ figli, onde la cara imago
Nelle lunghe vigilie il riconforti; 190Ben ripensando all’avvenir, cui lieto,
Anzi che sperperare, aduna e serba
La ricca vena che in diversi rivi
L’aride zolle a ristorar poi scenda.
Sotto la sferza del cocente raggio 195L’adusto agricoltore i campi miete;
E il duro fabbro alla sonante incude
Il ferro batte in vomere converso.
Delle recise biade a questo manca
La desïata parte, a quello il pregio 200Dei rusticali arnesi; e l’un dell’altro
Soccorre all’uopo con servigio alterno.
A tutti giova chi vigile in guardia
Del comun dritto siede; o sulle dotte
Carte cercando pallido dischiude 205Di sapïenza l’immortal sorgente;
O di natura le segrete cose
Indaga, scopre ed applica per mille
Guise, men aspra a fare e più gentile
Nostra carriera rapida, che solo 210Dal pensiero e dall’opra si misura.
L’umile canna e la frondosa quercia
Non contendon fra lor; ch’utili entrambe
Al fine sono a cui sortille Iddio.
Ma se di tralignato arbore vedi 215Ingombro il suolo, onde sottragga il succo
Alle fertili piante, invan ne speri
Dono cortese di benigna tempra;
Come lo speri invan dalla superba