Legga chi vuole e intendami chi puote
Io non dirò; chè temerario troppo
Fôra il mio detto e men di scusa degno.
Innanzi moverò, se tu m’aiuti, 10Tu che benigno e in un grave m’insegni
I saggi a venerar, come le vane
Ciance disprezzi del beffardo volgo.
La nostra a soddisfar voglia, che nasce
Dal bisogno mutabile e diverso, 15Noi siamo all’opra faticando intenti
Col nerbo dell’ingegno e della mano.
Allor la voglia e la speranza è piena,
Quando si gode il desïato frutto
Dello sparso sudor degna mercede. 20E l’atto del goder, che ci ristora
De’ lunghi sforzi, appellasi consumo,
Colla parola che dall’uso antico
Del volgo, adatta a ciò ch’ei vede e palpa,
Il dotto prese, l’ordine cercando 25Nel suo volume dei commerci umani,
Che dall’alterne prove hanno alimento,
E ricompensa dai servigi alterni.
Delle importune voci al suon discorde
La tua dottrina parve al culto sacra 30Della materia. — E pur l’opera indaga
Onde lo spirto le ribelli forze
Della natura indocile domando,
I suoi trionfi e la possanza estende.
E pur dimostra come in largo giro, 35Se all’appetito la ragion prevalga,
Di civiltade il raggio si diffonda
A gloria eterna dell’umano ingegno,
Che a più libero volo in alto s’alza
Quando nol prema dell’inopia il duro