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eldorado. 297

avendo dietro di sè venti anni di giornalismo corrodente, dove s’era consumato tutto il suo vigore, temeva, temeva la mala fortuna. Un grande desiderio di pace, dopo tanta lotta, si manifestava attraverso l’ambizione del giornalista. Venduto il Tempo, pagati i debiti, gli restava abbastanza, da vivere signorilmente, come un borghese filosofo, spettatore della vita. Indeciso, dominato da venti anni di abitudine fortissima, dominato da quella seduzione che è il potere e nell’istesso tempo voglioso di abdicare, uscì di casa fumando, senza scambiare neppure una parola col servitore e si fece condurre al Teatro Nazionale, alla Pilotta.

Ivi, nella penombra fioca del palcoscenico, come in fondo a un pozzo, alcune ombre si agitavano, provando una commedia nuova: e le facce erano scialbe e stanche, i vestiti neri di un nero smorto, parevano lugubri, le voci sembravano cavernose e quel muoversi strano di quelle persone, entrando nell’ombra, mettendosi nel raggio di luce che veniva dall’alto, aveva qualche cosa di spettrale, una vita di ombre nei recessi oscuri della terra. Riccardo, abituato da anni a quell’ambiente, avendo vissuto su tutti i palcoscenici e conosciuto tutti i comici, si appoggiò a una quinta, senza interrompere, seguendo il movimento della com-