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i capelli di sansone. 179

scatole, un po’ curvi ambedue, dando in qualche esclamazione di meraviglia. Il calore del salotto chiuso, tutto foderato di tende e di tappeti, tutto pieno di mobili, faceva salire una fiamma rosea sulle guance di donna Clelia: curvandosi accanto a lei, Riccardo sentiva come un profumo voluttuoso e caldo, che forse veniva da lei, forse si combinava con quello dei legni odorosi e teneri dei mobili. Intanto la signorina tornava con le braccia cariche di un mucchio di stoffe e le depose su una sedia, cominciando a spiegarne una innanzi agli occhi di donna Clelia e di Riccardo. Era una lieve garza colore di latte, color di cielo biancastro, appena appena ricamata di roseo, di verdino, d’oro.

“È un vestito di estate, da signora giapponese,” mormorava la signorina, piegando delicatamente la garza.

“Perchè non si veste così, contessa? Io le farei una poesia in giapponese.”

“Vorrebbe chiamarsi Tien—Tsin?”

“Perchè no?”

La seconda era una stoffa nera, di un nero profondo e tetro, ricamato di rosso e di giallo, a grandi fiori clamorosi. Poi la signorina ne spiegò un’altra, di un grigio ferro, tutta cosparsa di fiori rosei e di cicogne bianche.