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148 i capelli di sansone.

divani di tela russa, tutt’unti sulle spalliere e sui bracciuoli per le teste che vi si erano appoggiate, adorno di un falso caminetto in tela russa con un galloncino azzurro stinto, adorno di uno specchio coperto da un velo verde. Ivi all’odore di stantío della polvere si univa il puzzo dei sigari che vi erano stati fumati, e qua e là, su qualche mensoletta, sul falso caminetto, sul pianoforte vi erano dei mucchietti di cenere fredda, nauseante. Sopra una lavagna sospesa al muro, il direttore, capitato alle dieci in redazione, aveva scritto delle domande ai suoi redattori, che aveano risposto così:

— “Lamberti, lo fai un articolo sull’Afganistan?”

— “No, ci ho la moglie in parto: Lamberti.”

— “Scano, fammi il capocronaca sul muratore sfracellato: va all’ospedale.”

— “Sì: ma fammi pagare la carrozza da Gargiulo: Scano.”

La domanda: “Franceschetti, te la senti di tradurmi l’articolo del Fremdenblatt, sbagliando solo una ventina di parole?” non aveva risposta. Franceschetti non era ancora venuto in ufficio. Per Riccardo vi era questo:

— “Joanna, se le tue signore ti lasciano il