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la grande giornata. 117

correggendo una poesia in lode della signora Pia Marchi, gli disse:

“Volete andare al teatro? Vi è una poltrona pel Politeama, dove non posso andare. Vi sentite di far due paroline di cronaca, domani? Due soltanto.”

Riccardo si fece pallido come un cencio, per la collera, pel piacere: disse di sì, prese il biglietto rosso. Un grande tumulto si faceva nel suo cervello, andava col capo chino, pensando come avrebbe scritto quelle poche parole, cercando una frase efficace, che fosse anche una rivelazione di quello che egli sapeva fare. Ma non aveva provato le sue forze da tanto tempo, e a un tratto la prosa degli scrittori del Baiardo, che gli era caduta in disgusto, gli sembrava ora insuperabile, e le colonne del giornale gli parevano troppo maestose per la sua pochezza. Avrebbe scritto delle corbellerie, o fatta la solita noticina di cronaca. Volle confortarsi la mente: facevano la Forza del Destino, comprò il libretto, andò a leggere la biografia di Verdi in una enciclopedia che la biblioteca del ministero possedeva. Mangiò assai in fretta, andò a vestirsi subito, il Politeama era lontano e doveva andarci a piedi: e intanto ruminava la sua nota di cronaca, ora pensava di cominciare con un verso di De Musset, ora con un motto