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la mano tagliata. 83


— No, — e il tono era secco, reciso.

Comprese, Alimena, che non gli era concesso di entrare anche lui nel laboratorio, mentre Amati faceva le sue osservazioni. Non osò insistere. Solo, quando Silvio Amati prese il cofanetto, disse ansiosamente:

— Che farete? Che le farete?

— Nulla: nulla che la guasti, — soggiunse Amati, con un lieve sorriso.

E sparve dietro la porta del laboratorio che si richiuse alle sue spalle. Alimena restò molto inquieto. Che avrebbe fatto, Amati? L’avrebbe toccata, voltata e rivoltata, forse, forse ferita, quella mano? Perchè? Perchè? E perchè lui era venuto a portare quella mano al freddo scienziato, che di nulla si poteva commuovere? Non era colpa sua? Perchè confidare il suo segreto?

Mentre tali pensieri agitavano la mente del giovane gentiluomo, egli dava delle occhiate d’impazienza verso quella porta; ma essa restava immobile, serrata.

Anche tendendo l’orecchio, non si udiva nessun rumore, di là: vero asilo di studioso, quel laboratorio, quella casa!

Molto tempo passò. Adesso un abbattimento aveva vinto i nervi di Roberto Alimena: ed egli, gittato in un seggiolone, aveva lasciato cadere spenta la sesta o settima sigaretta che aveva fumato, per ingannare il tempo e la sua nervosità. Aveva guardato l’orologio, più volte: ma, poi, si era stancato ed aveva perduto la nozione dell’ora. Due, tre ore, forse. Una sonnolenza, quasi, avvinceva la mente del giovane gentiluomo.

A un tratto, quando egli meno se lo aspettava, la porta del laboratorio si schiuse e Silvio Amati riapparve, portando sotto il braccio il cofanetto della mano troncata. La faccia del professore era tranquilla, come al solito, e gli occhi scintillanti