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non dette, apparentemente, nessun risultato. Nelle ore in cui Roberto Alimena era in albergo, non uscendo egli prima delle undici della mattina e nel pomeriggio, dalle cinque alle sette, quando non aveva meglio da fare, nessuno sconosciuto si presentò a chiedere di lui. Veniva qualche amico, qualche conoscenza, qualche fornitore, ma niuno che potesse rassomigliare al gobbo dagli occhi verdi. Ogni volta che rientrava, il giovane gentiluomo s’informava minutamente, se fosse giunto uno straniero, un essere qualunque, che parlasse di un oggetto perduto. Niente.

Naturalmente, non aveva messo il suo nome, nel giornale, giacchè egli era molto conosciuto e non voleva avere domande da soddisfare, curiosità da appagare. Neanche al portiere dell’albergo aveva spiegato di che si trattasse. Gli aveva detto, così, che possedeva un oggetto non suo, ritrovato nel treno e che prima di depositarlo in questura, avrebbe voluto consegnarlo direttamente al proprietario. Quando costui si fosse presentato, bisognava condurglielo in camera: o se egli era assente per poco, pregarlo di aspettare: o se per molto non fosse rientrato, cercar lui, Roberto Alimena, dove si trovava e per questo lasciava sempre il suo itinerario. Infine, voleva assolutamente non lasciarsi sfuggire il padrone della scatola.

Assolutamente! Da quella notte in cui, in preda a una allucinazione di curiosità, spinto da un ardente desiderio che non giungeva a vincere, suggestionato dalle parole di Héliane Love, attratto invincibilmente da quel mistero, egli aveva forzato il cofanetto di cuoio nero e aveva visto la mano tagliata, egli era in preda a una febbre morale persistente e a un continuo urto nervoso. L’uomo tranquillo e indifferente, che non amava e non odiava nessuno, che aveva vissuto, viaggiato, goduto senza mai turbarsi gravemente, per nulla, Ro-