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66 la mano tagliata.


— La chieggo, la chieggo sempre. Sono stanca, va a letto Rosa.

— Buona notte, signorina.

— Buona notte. — Rachele Cabib rimase sola. Ancora una volta i suoi occhi si rivolsero al ritratto di sua madre, che era a capo letto. Un terribile momento le sovrastava ed ella si rivolgeva a quella immagine, come a una speranza di bene. Ma l’aveva poi amata, quella madre che, come diceva Mosè Cabib, era seppellita in un piccolo cimitero di Germania? Vagamente, ella ricordava quella figura di donna, di una beltà suprema, di cui ella, Rachele, non era che la pallida rassomiglianza: vedeva un viso divino, e certe mani bianche, lunghe e fini, mani di principessa e non di lavoratrice, come diceva Mosè. Ma tutto ciò così lontano, nell’infanzia, in un castello perduto fra le grandi pianure di neve: dopo, un gran vuoto nero si faceva nella memoria di Rachele ed ella si ritrovava sola, in Roma, con suo padre, in Roma, dove era da dodici anni e appena ella toccava i venti! Ogni volta che aveva chiesto a suo padre di sua madre, costui si era turbato e rattristato; spesso le aveva ripetuto che sua madre era morta giovane, seppellita in un cimitero di Germania, nella loro fuga dalla Polonia.

Ma due o tre volte, Mosè Cabib, sconvolto dai ricordi, aveva fatto delle confessioni ambigue, come quella sera, aveva narrato di favolose ricchezze, di piaceri luminosi, di esistenza principesca: aveva parlato di Sara Cabib come se fosse sparita e non già come se fosse morta. Sempre, si era pentito di queste nebulose confessioni e le aveva smentite. Ma Rachele ne era rimasta così colpita: e lentamente, in lei, si era fatta la convinzione che sua madre non fosse morta.

Eppure, se non era morta, dove era? Che face-