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la mano tagliata. 415


«Avevo da me stesso perduto una donna che adoravo, ed ella mi moriva innanzi, senza che io potessi soccorrerla. Non volevo e non potevo invocare altri aiuti, perchè temevo che qualunque altro medico avrebbe scoperto la ragione di quel sonno così simile alla morte e avrebbe denunciato il marito e me, per tentato omicidio. D’altronde, le forze della dormiente si andavano sempre più affievolendosi e io temeva che mi morisse innanzi, a un tratto, senza neppure svegliarsi, senza dare l’ultimo bacio a sua figlia. Allora, concepii un piano infernale, giacchè a nessun modo avrei voluto lasciar morire Maria in quella casa e abbandonarne il cadavere nelle mani dei becchini. Nella quarta notte, sempre tenendo fra le mani il polso di Maria, chiamai Mosè Cabib che piangeva, ai piedi del letto, e gli dissi che, forse, Maria era morta o che sarebbe morta fra poco; che, per la smania di voler diventar ricchi come Cresi, noi avevamo commesso un delitto e che alla polizia russa non sarebbe parso vero di carcerarci, tanto ci teneva in sospetto, perchè ebrei e perchè viventi una vita misteriosa. Gli soggiunsi che bisognava nascondere la prova del nostro delitto, cioè il corpo di Maria, e portarlo via, lontano; a questo avrei pensato io, fuggendo la notte istessa da Mosca, in vettura, sino a un lontano castello dove potevo far perdere le mie tracce; egli stesso doveva fuggire, con Rachele, tanto che non si potessero più trovare tracce dell’esser suo; io solo avrei saputo dove egli fosse. Gli davo denaro, molto denaro!

«Sulle prime, si oppose fortemente. Quell’uomo amava sua moglie e non voleva abbandonarla nè morta, nè viva; del resto, la morte non era accertata. Quanto dovetti combattere con lui! Lo minacciai, lo pregai, piansi, innanzi a lui: non mi sono mai tanto umiliato davanti a un essere vi-