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possedere per intiero l’animo di Mosè Cabib. Io voleva togliergli la moglie e, per far questo, bisognava che Mosè Cabib diventasse il mio più vile schiavo e che egli stesso mi lasciasse libero di portar via la femmina, che era la sua sposa e che era la madre della sua figliuolina.

«In questo frattempo, io seppi frenare il mio cieco ardore che mi abbruciava ogni qual volta m’era dato d’incontrare la creatura squisita. Che ho sofferto, mio Dio, in quel periodo!

«Ma, almeno, avevo una sublime speranza di essere amato un giorno da Maria; speravo certamente di far mia quella orgogliosa anima e di possedere quel bellissimo corpo. Questa speranza mi sosteneva nei lunghissimi giorni, in cui io serrava intorno a Mosè Cabib una rete così fitta, da cui egli non si sarebbe mai potuto distrigare.

«Per consolarmi, però, di questo oscuro e tetro lavoro di talpa, io mi faceva raccontare minutamente tutta l’esistenza di Maria, sino ai particolari più intimi. In questi racconti che mi dicevano cose spesso troppo intime, io sentivo raddoppiare il mio cieco ardore e la mia fiamma trovava un alimento che mi faceva fremere di passione.

«Ho detto, che ella forse amava un tale Jean Straube, un tedesco che da studente era diventato professore di filosofia, e che s’era fatto mandare a Mosca per seguire la donna che egli aveva amata da fanciullo. Esercitai per la prima volta il mio potere su Mosè Cabib, suggestionandolo a mandar via di casa questo visitatore sospetto, a cui la donna teneva troppo e di cui Mosè non aveva nessuna diffidenza. Per la prima volta, anche, mi posi indirettamente in urto con Maria, giacchè ella resistette rudemente, prima ai consigli, poi agli ordini di suo marito. Ella dovette comprendere che sopra Mosè Cabib agiva una volontà più forte del suo fascino, e che una potenza misteriosa ve-