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la mano tagliata. 393

Maria Cabib, e non ho mai più potuto dormire; io, come Macbeth, ho ucciso il sonno. Da quindici giorni, appena cade la notte, un’allucinazione spaventosa mi coglie, e io vedo innanzi a me, attorno a me, sempre accanto a me, Maria col cranio sfracellato, con una lunga riga di sangue, che le cala lungo i capelli neri disciolti e le insozza il bianco vestito; io la vedo agitare innanzi a me minacciosamente il suo moncherino sanguinoso, simile a quel giorno di follìa, in cui, avendola immersa nel sonno ipnotico, esercitai contro lei che mi odiava e contro me che l’adoravo, la crudeltà di tagliare il più bel braccio ch’io avessi visto al mondo. Da quindici giorni, io temo la notte come la mia maggiore nemica, io non posso veder cadere le ombre notturne, senza esser preso da una ossessione che mi fa tremare le vene e i polsi. Come farò a vivere con questo notturno fantasma, che mi perseguita co’ suoi occhi ardenti e desolati, col suo braccio mozzato, con la sua unica mano deprecante al mio capo esecrato; come vivrò io con quest’ombra, che mi tortura più di quanto Maria mi torturasse viva col suo disprezzo? E come potrò vivere, dopo aver ucciso Maria, la mia regina e il mio idolo? Ho deciso, dunque, di morire! Se io non mi uccidessi, questo fantasma con le sue mani di ombra mi condurrebbe immancabilmente alla follìa ed alla morte. Non è in un manicomio, come un volgare lipemaniaco, che deve morire Marcus Henner, il grande scienziato, l’uomo che ha rapito a Dio il segreto di dominare la volontà umana, il più glorioso figliuolo d’Israele, dopo Mosè. Che un castigamatti debba somministrarmi la doccia e serrarmi le membra nella camiciuola di forza, è una fine troppo umiliante e che fa ribrezzo al mio smisurato orgoglio. Meglio perire subito, di mia elezione, dando la mia vita a colei che ho uccisa, dandogliela in olo-