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la mano tagliata. 375


«— Dorme, — disse la cameriera, dopo averla guardata.

«Ed uscì.

«Dormire? Era un sonno così poco naturale, quello, che io tentai, due o tre volte, di farle odorare dei sali, perchè si scuotesse. Ma quel potente odore, ella non lo sentì. Nulla la trasse da quel torpore profondo. Solo, a un certo momento — l’ora della notte era molto avanzata — accadde un fenomeno così impensato e così triste! Mentre il letargo le teneva chiusi gli occhi ed ella non dava segno di vita, cominciò a piangere.

«Sì. A piangere. Di sotto le palpebre abbassate, fra le lunghe ciglia nere, le lagrime sgorgavano, calde, su quel volto freddo e scendevano lungo le guance, disfacendosi sul collo, sulle mani, piovendo sulla veste bianca. Era un pianto muto e senza singhiozzi, ma pianto lungo, largo, copioso, sgorgante da una sorgente che pareva non dovesse inaridirsi mai!

«Un pianto così silenzioso e disperato, che io non vi resistetti, che cominciai a baciarla sugli occhi, sulle guance, bevendo le sue lacrime, cercando asciugarle con i miei baci, cercando di riscaldare quel volto freddo e quasi esanime. Disperato, ora, non pensando più al suo sonno, al suo riposo, io la stringeva fortemente fra le braccia, la chiamavo, le parlavo, la scongiuravo di udirmi, di rispondermi.

«Ella non si mosse, non sollevò le palpebre, non si colorì, non si riscaldò: rimase come morta, nel suo torpore.

«Allora in quella notte lunga e lugubre d’inverno, in quella casa lontana e solitaria, in quel paese deserto, diviso dal mio per centinaia di miglia di mare e di terra, con quella donna fra le braccia, che agonizzava in quello strano ed angoscioso malore, io fui preso da una folle paura.