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si chinò meglio, a guardare nella strada. Ma distingueva poco precisamente e tralasciò di guardare. Pure, il fenomeno si ripetè. Egli si sentì di nuovo attirato ai cristalli, e questa volta egli vide bene lo sguardo ardente di una donna che lo fissava. Era una donna del popolo, vestita di scuro, decentemente, e con uno scialletto di lana nera sul capo, che si teneva stretto con una mano al collo. Ranieri Lambertini represse a stento un grido di sorpresa, riconoscendo quel volto; era quello di Rosa, la serva di Rachele Cabib, colei che era sparita contemporaneamente alla sua padrona, nella notte terribile del tentato assassinio. E questa donna lo guardava così attentamente, così curiosamente, che anch’ella doveva averlo riconosciuto, malgrado la notte, la oscurità, i cristalli, il tempo che era passato e il mutamento avvenuto nella fisonomia di Ranieri Lambertini. Egli schiuse i cristalli, e incurante della temperatura che poteva danneggiare i suoi polmoni, abituati alla stanza riscaldata dell’albergo, si sporse dal verone e gridò più che disse:

— Rosa, Rosa!

— Signore! — fece quella, balenando dai buoni occhi fedeli e accostandosi al verone.

— Sali sopra!

— Dove?

— Al numero 14. Chiedi di me.

— Eccomi. —

Egli la guardò ancora, dal verone schiuso, che con passo svelto girava intorno all’albergo e svoltava verso il portone principale; poi, richiuse i cristalli e volle aprire la porta, per andarle incontro. Ma in mezzo alla camera fu preso da una vera soffocazione di respiro: quella improvvisa apparizione lo aveva sconvolto. Con mano tremante egli schiuse la maniglia della porta, e la povera serva, che era stata la costante e migliore confi-