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mie sventure e quelle di Ranieri Lambertini, il nostro orrendo nemico doveva morir dalla collera.

«Più tardi, come vi ho detto, la mia posizione d’imputato si è venuta migliorando. Le deposizioni di una quantità di persone che mi conoscevano — la vostra, anche — la importantissima, capitale deposizione del conte Lambertini, che negò assolutamente ogni mio intervento nell’aggressione, che negò i nostri amori con Clara Loredana, che negò ogni rivalità e ogni lite, tutto ciò migliorò la mia condizione. Ma non mi ha potuto salvare, tutto questo.

«È sempre il mio pugnale, quello che è stato trovato nella ferita di Ranieri Lambertini; sono sempre io, che sono stato trovato disteso sul suo corpo; la Loredana seguita a sostenere, limpidamente, la sua versione. L’hanno interrogata in contraddizione con me, in confronto col Lambertini; si è ostinata a dire sempre la stessa cosa, con una audacia singolare. Io non sono salvo, giacchè la giustizia può supporre in Ranieri Lambertini un generoso perdono e un desiderio di scamparmi; giacchè lo stesso Lambertini non ha saputo e potuto dire nulla sul tentato assassinio di quella notte; egli non ha visto niente, è stato aggredito alle spalle, non sa da chi; e, sopra tutto, egli, come me, non avendo prove, non avendo che indizi sul gobbo e non volendo dire il suo segreto, ha taciuto sempre. Mi salverò? Chi sa! Mi hanno dato la libertà provvisoria e, probabilmente, il processo sarà fatto molto tardi; e, forse, mi lasceranno passare all’estero, senza molestarmi.

«E, credete voi, amico mio venerato, che io pensi a difendermi da queste terribili accuse, che io desideri essere assolto in questo processo per riabilitarmi, credete voi che io abbia escogitato tutto un sistema di difesa? No. Io ho invece escogitato un piano di attacco. Oramai, il dado è trat-