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sta anticamera, dove un servo in livrea, muto e rispettoso, mi ha tolto il paletot e il cappello. Sin qui, nulla che non sia banale, è vero? Vedrete dopo, come questo che somiglia al più stupido dei racconti, prenda poi l’aspetto il più tragico.

«La contessa Clara Loredana è una bellissima donna, molto bella e fin troppo bella; è elegante e fin troppo elegante; civetta, civettissima e fredda come tutte le donne che hanno questo grazioso difetto, che a me non dispiace tanto. Ella è una donna senza uno stato civile molto preciso. Riceve solo uomini e qualche rara signora; ricevuta qua e là, non moltissimo e non nelle primarie case, ma ricevuta; ricchissima, ma senza una fonte bene sicura delle proprie ricchezze; maritata apparentemente, ma senza nessuna traccia del conte Loredana, se morto, se partito, se carcerato, se sparito; senz’amanti, almeno in vista, ma, certo, donna non difficile, in alcune date circostanze, e con un contegno talvolta obliquo, sparendo per intiere settimane, assente non si sa dove, riapparendo a un tratto, senza dare notizia dei suoi viaggi; del resto, in nessun rapporto di amicizia con altre famiglie veneziane che sono in Roma, ma chiamandosi Loredana seriamente, a confessione di queste medesime famiglie. Un mistero, un’avventuriera, io ritengo; certo, anche una spia; certamente, una complice di quell’uomo.

«Ella mi ha trattato con molta cortesia in quella sera fatale e ha civettato con me sino all’esagerazione. In fondo, mi piaceva poco! e il mio spirito era tutto preso da quell’altra, dalla donna dalla mano tagliata. Ma io sono anche un uomo, un giovane e tutta la mia ideale passione non mi avrebbe impedito di prendere per amante la contessa Clara Loredana, se ella lo avesse voluto. Parea che lo volesse, non immediatamente, forse, per suo decoro, ma dopo una certa resistenza. L’avven-