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la mano tagliata. 217


gogna le faceva ardere il viso. Torturandosi nella sua impotenza, ella vide Rosa pregare a lungo, poi levarsi pian piano, farsi il segno della croce, attraversare la chiesa, salutare l’altare, in fondo alla chiesa, e sparire. Finito tutto, dunque?

Come folle, Rachele Cabib uscì dal coro, per i chiostri; sperava che Rosa, da sè, avesse insistito per entrare, fosse ritornata; sperava di incontrare la conversa portinaia, Maria Crocifissa, che venisse a richiamarla. Nessuno, nessuno. Ella sarebbe andata, ora; avrebbe disobbedito a sè stessa e alla segreta volontà della superiora. Ma nessuno apparve, salvo qualche monaca che andava attorno per faccende e che scambiava il solito saluto con suora Grazia. Tutto era finito.


III.

l’odissea di roberto.

«Carissimo e venerato amico,

«La prima volta che io posso scrivere delle parole sopra una carta bianca e la penna non cadermi dalla mano agitata o esausta, la prima lettera che io posso scrivere, amico mio buono, è per voi! Voi rammentate la tenerezza che ha avuto per voi mio padre e io la rammento, è un ricordo ben dolce per questo povero cuore freddo, di scettico! Mio padre vi amava e siccome era un uomo giusto e buono, io ho imparato a rispettarvi e ad amarvi, da lui. Amo e rispetto così poche persone, io! La mia vita, sinora, è stata tanto gelida e tanto sciocca, che spesso io vi ho fatto pietà. È vero, che vi ho fatto pietà, a voi, pieno di talento e di coltura, cultore della scienza, amante pienamente corrisposto da essa? Ho fatto pietà a voi, uomo operoso,