Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/222

216 la mano tagliata.

te distratto dalle preci. Come Lazzaro, ella si lagnava che la venissero a trarre fuori dal suo sepolcro; e la luce della vita le sembrava odiosa. Non aveva pace. Si levò, andò verso la grata che affacciava nella chiesa bassa di suor Orsola Benincasa, fittissima grata, a cui era lecito di accostarsi solamente nelle ore delle grandi funzioni religiose, giù. La chiesa era deserta. Rachele Cabib appoggiò la fronte a quei legni incrociati e guardò. Ombra e silenzio, giù. Solo, accanto a un pilastro, Rachele che mirava con occhio avido, vide inginocchiata una donna. Il suo acuto sguardo aquilino riconobbe Rosa, la sua domestica, la fedele che voleva dirle qualche grande notizia, ma che ella aveva così reiteratamente respinta.

Ah che, in quel momento, il cuore della povera fanciulla ebrea, fatta cristiana, si franse in due, pensando che, forse, la verità e la vita erano in quella donna che, tutta sola, scacciata dalla presenza della sua padrona, pregava, inginocchiata!

Ella, dietro a quella grata, versò un fiume di lagrime cocenti, sapendo di non poter richiamare quella donna, sapendo che ella doveva essere coerente a sè stessa e ubbidiente agli ordini della madre superiora. Lei, Rachele Cabib, lei, la novizia delle sepolte vive, lei, suora Grazia, aveva detto di no, aveva respinto la verità e la vita raccolte in quell’umile servente. Come richiamarla? Come osar di dire alla superiora che si era pentita della sua fermezza e della sua astensione? Come confessare che il suo cuore, tutto destinato a Dio, ardeva ancora di passioni umane? Ella si tormentava, dietro a quella grata, con la fronte contro il legno, con la voglia di gridare a Rosa che tornasse, che risalisse sopra, che bussasse alla porta del convento ed ella sarebbe discesa, a piedi scalzi, anche, per sentire da lei che cosa dovea dirle; ma la voce soffocata non le usciva dalla strozza, una irrefrenabile ver-