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202 | la mano tagliata. |
— Non avrò pace che con la morte, — mormorò la novizia, non più giovine, abbassando gli occhi.
— Queste sono parole disperate e non voglio udirle da voi, — disse la superiora, aggrottando le ciglia.
— Mia madre, perdonatemi!
— Bisogna dominare anche i nostri dolori, — replicò più mitemente la badessa, di fronte alla umiltà della novizia.
— Come fare?
— Pensate che il mostrare le lagrime è dare scandalo!
— Madre mia!
— Così è. È aspra la legge, ma bisogna subirla. In un convento, tutte le manifestazioni della vita debbono essere coordinate: la regola è assoluta. Neppure piangere si può in pubblico.
— Ciò è così crudele!
— Mia figlia, riflettete. Tutte le suore, al vostro pianto, si distraggono dalle orazioni; la curiosità le vince ed esse cadono in peccato. Anche il pianto è una tentazione.
— Mia madre, mi frenerò.
— Fatelo! D’altronde, farsi vedere a piangere, significa mostrare che la grazia del Signore non ha ancora toccato il vostro cuore; ciò è così male!
— Come fare? Io sono, certo, una creatura indegna.
— Tutti siamo indegni. Ma chiedete questa grazia e l’avrete. Poi, pensate anche a colei che avete accanto, al coro....
— Suora Grazia?
— Sì, anch’essa è novizia. Voi la scoraggiate, piangendo.
— Anch’essa piange, talvolta.
— Lo so. Sono le tracce del mondo, che non vogliono ancora scomparire. Avete scambiato delle confidenze, è vero?