Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/201


la mano tagliata. 195


Due o tre volte, suora Serafina e suora Grazia si ritrovarono sole nel coro: la badessa permetteva loro di farvi delle più lunghe dimore, giacchè alle novizie si ama lasciarle a lungo in colloquio con Dio. Spesso, in questi prolungamenti, mentre suora Grazia teneva la bocca appoggiata sul suo rosario, a occhi bassi, senza dire orazioni, suora Serafina, accanto a lei mormorava le sue preci, intercalandole con qualche sospiro. Una volta, spezzando il silenzio a cui, sembrava, suora Grazia si costringesse da sè, ella chiese a suora Serafina:

— Che avete, mia sorella?

— Nulla, sorella mia, — aveva risposto l’altra con un sospiro.

— Voi soffrite, è vero?

— Sì, sorella.

— Soffrite molto?

— Immensamente.

— Dio vi consoli, sorella.

— Così sia, mia sorella. — E si tacquero, suora Grazia per discrezione e suora Serafina perchè aveva ricominciato a pregare. Per vari giorni non si parlarono, non essendovene occasione, ma un giorno si incontrarono nell’orto, mentre suora Grazia coglieva una rosa di maggio, tutta rorida di rugiada.

— Voi amate i fiori?

— Li amavo....

— Non li amate più?

— I fiori sono per le persone felici, — disse suora Grazia, a voce bassa, curvandosi a odorare un bocciuolo.

— È vero, mia sorella.

— E voi, li amate?

— Sì, molto. Ma nel mio paese ve ne sono così pochi!

— È molto lontano, il vostro paese?

— Assai.