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166 la mano tagliata.

quando si bussò di nuovo alla porta, non a quella segreta, ma a quella da cui era entrato ed escito John, egli disse di entrare, senza levare il capo. John entrò innanzi e dietro a lui una giovane donna, semplicemente vestita di nero.

Ella si sedette, con aria stanca. Era bianca bianca, con una carnagione perlacea fine: le venucce azzurre si disegnavano penosamente sulle tempie, sul collo, persino intorno alla bocca. Pareva che, mettendo una candela dietro il suo volto, esso si rendesse trasparente. Era magra, con certi grandi innocenti occhi azzurri e certe labbra pallidamente rosee: era bellina, carina, con un’aria di gioventù fragile e malaticcia. Vestiva con semplicità, ma decentemente: teneva le mani inguantate, incrociate in grembo. John che l’aveva introdotta, in silenzio, se ne era andato via egualmente, mettendosi un dito sulle labbra, per raccomandarle di tacere, fino a che Marcus Henner avesse finito di scrivere. Difatti, ella attese pazientemente. Egli scrisse ancora, con quei suoi strani caratteri rossi, sulla pergamena: aspettò che si asciugassero e ripose il foglio in una cartella di pelle che chiuse a chiave. Poi, levò il capo:

— Ebbene, mistress Jackson? — disse con voce conciliante.

— Signor Henner.... — disse quella, con una voce debole e velata, dove tutta la strada della tisi si rivelava.

— Non andate meglio?

— No.

— Avete avuto qualche altro fenomeno?

— Nessuno: ma sono malata, dottore, molto malata.

— Non vi fissate. Voi state meglio.

— Dottore, io morirò di questo, se non mi aiutate, — ella disse, cercando dar forza alla sua povera voce.