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la mano tagliata. 9

Si era divertito, come dappertutto, anche a Napoli: ma divertito mediocremente, a fior di pelle, senza importanza.

Si sarebbe egli divertito maggiormente nel paese dove andava? Non ne sapeva nulla. Non gliene importava nulla. In fondo, era un personaggio alquanto passivo, che si lasciava vivere, seccato spesso e mancante di un cardine qualunque, nella vita: e incapace anche di cercarlo, questo cardine! Andava, così, altrove, perchè faceva freddo a Napoli, perchè a Nizza, forse, avrebbe avuto più caldo, ma senza un rimpianto per Napoli e senza desiderio per Nizza. Qualche volta, un amico più affezionato gli diceva:

— Roberto, tu non hai nessuna ragione di vivere.

— È vero, — rispondeva Alimena, con un bizzarro sorriso — ma non ho nessuna ragione neanche di morire. —

Verso Caserta, Roberto Alimena cominciò a sonnecchiare: a Sparanise, dormiva. Il Figaro giaceva per terra sul New York Hérald: due o tre residui di sigaretta erano caduti sul sedile, senza, per fortuna, cagionare incendî: e Alimena dormiva. Sino allora non era stato disturbato da nessuno: due o tre volte, fra veglia e sonno, aveva veduto qualche faccia apparire dietro i cristalli e subito sparire: come in sogno. Adesso si era sdraiato lungo, sul divano: e dormiva profondamente. Quando si arrivò a Ceprano, era sera. Nella fermata di cinque minuti, Roberto Alimena non fece altro che voltarsi e rivoltarsi sotto il plaid di pelliccia, ma non si destò. Neppure il cambio degli scaldapiedi, sempre un po’ rumoroso, arrivò a scuotere il suo pacifico sonno: il battere degli sportelli, in partenza, non turbò il suo sogno.

Giacchè dormiva e sognava. Adesso, gli pareva di non essere più solo, nel suo scompartimento: