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120 la mano tagliata.


Quando la figliuola Rachele fu risalita nella sua stanza, Mosè Cabib licenziò anche la serva, dicendole di coricarsi e di non preoccuparsi di qualunque rumore udisse in casa. Costei crollò le spalle senza rispondere e se ne andò a dormire. Però non si addormentò punto, giacchè, conoscendo i segreti che agitavano quella casa, anch’essa, nella sua rozzezza, comprendeva che qualche cosa di straordinario si preparava per quella notte.

Sopra, neppure Rachele Cabib si addormentò; il suo spirito immaginava per quella notte un singolare combattimento e una decisione estrema. Tentò di leggere, ma non le riuscì. La sua attenzione non si fermava sulle frasi del libro; ella si distraeva subito, pensando ai casi suoi.

Un principio di agitazione le dava degl’improvvisi fremiti: andò a gittarsi ai piedi del ritratto di sua madre; ma non vi trovò quella pace che vi cercava.

Inginocchiata, con la faccia tra le mani, ella s’immerse in profondi pensieri e si distrasse dal momento presente.

Quanto tempo trascorse così, neppure lei avrebbe potuto dirlo; certo, la mezzanotte doveva essere vicina. Ad un tratto, si riscosse; un lungo fischio attraversò il grande silenzio del vicolo del Pianto. Era un fischio dolce e malinconico, un po’ rauco. Alla distanza di cinque minuti, il fischio si ripetè, egualmente lungo, dolce e malinconico.

Tendendo l’orecchio parve a Rachele Cabib che il passo di suo padre attraversasse la casa; ma era un passo così cauto, così soffocato, che appena appena poteva dirsi percettibile. E di nuovo, sempre alla distanza di cinque minuti, il fischio si udì novellamente. Poi, più nulla.

Ella si levò e, nervosissima, tese l’orecchio: le parve che dei passi si udissero al piano inferiore. Ma non ne fu certa.