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la mano tagliata. 119

leva, occupata a leggere; una sola volta l’aveva trovata scrivendo: ma ella, prima che le mani di suo padre adunghiassero il foglio di carta, dove essa scriveva, lo aveva, con un moto rapido e fiero, lacerato in mille pezzi. Il vecchio aveva borbottato delle parole di minaccia all’indirizzo di Ranieri Lambertini e se ne era andato.

Di sera, Mosè Cabib rientrava sempre oscuro nel volto e con l’aria molto stanca. Sua figlia, abituata ai lunghi silenzi, non l’interrogava. Ella sentiva che qualche cosa di grave si maturava, fra lei e suo padre; il dramma della piccola casa nel vicolo del Pianto precipitava verso una catastrofe. Le ultime timidezze e gli ultimi terrori, vaghi e secreti dello spirito di Rachele Cabib, venivano dileguandosi. Ella era adesso decisa a giuocar tutto per tutto.

Così, quella sera, le parve di leggere nel viso di suo padre una espressione di dolore e di collera insieme, un senso di paura e di tristezza. Quando il commesso fu andato via, ella si trattenne ancora un poco, muta, con le mani in grembo, quasi aspettando che suo padre le dicesse qualche cosa. Rosa, in un angolo oscuro della stanza, faceva la calza e non si udiva che il ticchettìo dei ferri. Mosè Cabib finì di fumare la sua pipa. Allora la sua figlia si levò e gli disse:

— Buona notte, padre.

— Buona notte. Non andare ancora a letto, però.

— E perchè?

— Perchè dovrò, forse, dirti qualche cosa, — soggiunse il padre, ad occhi bassi.

— Voi?

— Io.

— E perchè non me lo dite adesso?

— Più tardi, più tardi, forse.

— Va bene, — ella disse, freddamente, voltandogli le spalle.