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nella lava 171


sedie, col suo sorriso di bella ragazza che non ha altro. E nessuno pareva accorgersene di quella miseria: ragazze, giovanotti, venuti là solo per divertirsi e per amarsi, per ballare, essi che avrebbero ballato in una piazza e al suono di un piffero.

Crepavano dalle risa al canto di Gaetanino Ceraso, che cantava o declamava una scena in dialetto, La mano della signora, in cui un giovanotto innamorato, seguendo l’innamorata nella chiesa, nella penombra afferra la mano della madre, invece di quella della figliuola, e la vecchia gli si offre per moglie, subito. Gaetanino Ceraso, un ingegnere di ponti e strade, coltivava il canto buffo con grande successo, nei ballonzoli settimanali, ma questo gli impediva di fare delle conquiste, le ragazze amavano i giovanotti malinconici, o almeno seri, quelli che non facevano ridere la società: anche Enrichetta Caputo pensava così, ella preferiva la serietà di Arturo Ajello e l’aria ineffabile con cui si passava la mano tra i capelli. Rideva finanche la povera Enrichetta Brown, che quella sera aveva messo un vestito di broccato rosso nuovo ed un paio di orecchini di rubini, bellissimi; accanto a lei il vecchione geloso aveva una parrucca rossa, nuovissima, e la dentiera luccicava nella sua cornice d’oro: finchè non si ballava, il vecchione si divertiva, tenendosi accanto la moglie: quella sera spingeva la tenerezza sino a tenerle la mano, ella chinava il capo umiliata e confusa, non osando guardare in volto le persone.

Ella sentiva, sì, sentiva in coloro che la incontravano, la pietà, la curiosità fredda, il biasimo, il disprezzo; sentiva sopra di sè il vario giudizio della