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166 nella lava


dia, e mentre le quattro sorelle litigavano tra loro, Carolina se ne andava con Carluccio, tutta gloriosa della magnificenza del suo innamorato.

Ora, a mezzanotte, la Villa era vuota: e l’accenditore del gas venne, spense le fiammelle, lasciandone una ogni otto, una luce fiochisima. La notte stellata, profonda, dolcissima, si allargava sul giardino degli amori; solo, nell’ombra, alenava il respiro del Vesuvio, ora di un rosso pallidissimo, ora infuocato, quasi divampante.

III.

Era un grande stanzone quadrato, senza parato, dipinto semplicemente di giallo smorto: sui mattoni grezzi, sempre polverosi, malgrado l’acqua che vi buttava sempre la signora Caputo, non vi era tappeto. Lungo la parete un divano di lana cremisi, sfiancato, le due poltrone anche di lana, cremisi, coperte di pezzi di merletto all’uncinetto, lavoro speciale di Enrichetta: due o tre scaffaletti di legno nero dipinto, vecchio, scrostato, su cui giacevano dei gingilli antichi e brutti, un albo di vecchie fotografie, certe scatolette di cartone coperte di conchiglie, certe bomboniere di raso stinto: un tavolino tondo in un canto, coperto di marmo bianco, già tutto macchiato di giallo, senza tappeto sopra, su cui erano posati due lumi: un pianoforte verticale, piccolino, con la spalliera di seta rossa tutta tagliuzzata e stinta: una quarantina di sedie di