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nella lava 155


voleva andarsene e non osava dirlo, suo fratello e la sua fidanzata erano così felici! E non volendo guardare intorno, per non dare sospetti al vecchione, fissava un punto rosso fra gli alberi, che ora si faceva pallido, ora pareva divampasse, come l’alenare alternato di un soffio infiammato: la piccola, solita eruzione del Vesuvio, di cui nessuno si occupa in Napoli.

La musica, adesso, suonava uno dei soliti pezzi concertati, un miscuglio di variazioni sopra tutte le arie della Jone di Petrella; e il movimento della folla che girava, pareva regolato in cadenza, sulla passione di Glauco o sul lamento desolato di Nidia. La dolcezza della sera aveva persuaso alla passeggiata, una quantità di persone che non appaiono quasi mai: e le più schive famiglie borghesi di via Salvator Rosa, di Sant’Eligio, di via Garibaldi, della Carriera Grande e del Largo Barracche si erano lasciate trascinare, laggiù, fra i platani e le fiammelle a gas, fra le sedie di ferro e la banda municipale. Le persone sedute finivano per perdere la visuale, non contemplando altro che un fittissimo corteo di altra gente, che si accalcava sempre più e sempre più andava piano.

Matilde Cipullo, trascinantesi dietro il nobile ma spiantato marito, nonchè due altri giovanotti che ella doveva ammogliare, era seccata di quel ritardo: si tirava dietro il cavaliere Arturo Ajello, un impiegato di prefettura, bel giovanotto che ella voleva sposare con Enrichetta Caputo, una buona azione, proprio una carità finita; Giovanni Pasanisi, un proprietario di Salerno, che ella destinava a una delle Cafaro, le riccone, la seguiva fedelmente. E arrivata nel gruppo