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152 nella lava


spesso non lo trovavano e allora giravano attorno attorno, tutta la sera, due per due, l’ultima col fratellino, come cavallucci di carosello, stanche, coi piedi indolenziti, dovendo anche fare il cammino a piedi sino a San Giovanni a Carbonara, dove abitavano.

Ma quella sera, Carolina aveva afferrato alla porta della villa Carluccio Finoia, il quale aveva dovuto fare il gran signore: e le cinque sorelle si pavoneggiavano, nella luce cruda delle fiammelle a gas, tutte pompose nei loro vestiti di percallo lavato e rilavato, stirato in casa, mostrando le scarpette sdrucite e le calze di cotone da quindici soldi il paio, infarinate di cipria, con le gole brune scoperte e l’aria sfacciata delle brutte che si credono belle. E come, verso le nove e mezza, la folla cresceva, cresceva sempre, mentre la banda suonava il pezzo di Strauss: Libera la via, le ragazze Sanges facevano la rivista critica, pettegola, spietata, a tutte quelle che passavano. Giusto le ragazze Galanti erano arrivate, allora allora, con certi abitini nuovi di percallo rosa, che stava benissimo con la tinta bruna del viso e gli occhioni neri: e avevano tutte e tre i capelli annodati con un nastro rosa.

— Sembrano delle mosche, in un gelato di crema e fragola — osservò Concetta Sanges, che era la più brutta di tutte.

— La più grande avrà almeno trentadue anni, — disse Chiarina, che ne aveva ventotto, — le sta bene portare il nastro nei capelli, come se fosse una bambina.

— Vanno al caffè, per prendere il gelato, vedete quanto sono scostumate, — mormorò Carolina che sarebbe stata felice di prendere lei il gelato.