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telegrafi dello stato 11


sul mare in tempesta, le anime abbandonate. Per sè non chiedeva nulla: in quel torpore fisico, non provava nessun desiderio spirituale e personale: nulla le si precisava, come bisogno, nell’anima. Solo, confusamente, avrebbe voluto pregare la Madonna che la lasciasse dormire, al mattino, sino alle nove: bella felicità, che non aveva mai goduta. Sentiva solo un sonno tenace scenderle sul capo e dalla nuca diffondersi lentamente per il corpo: dormiva, con la faccia tra le mani, il cappello venuto giù sulla fronte, con le gambe immobili e il busto penosamente inchinato: dormendo, udiva lo scaccino andare e venire, scostare le sedie, spazzare il pavimento marmoreo. A un tratto una voce le mormorò nell’orecchio:

— Vitale? Dormi o piangi?

— Ecco, mammà, — borbottò Maria, svegliandosi.

Giulietta Scarano, una fanciulla dai bei capelli castani, dalla testina piccola sopra un corpo graddo, dagli occhi chiari e sempre estatici, sorrideva mitemente, accanto a lei, guardando l’altare maggiore, dove lo Spirito Santo risplendeva in una raggiera d’oro.

— Mi sono addormentata: hai anche sbagliata l’ora, tu?

— No: esco presto, perchè devo venire a piedi, da Capodimonte. Entro sempre in chiesa, passando.

— Andiamo?

— Sì, sì: è ora. —

Si avviarono, Maria Vitale, tutta indolenzita, con un gran freddo addosso e un formicolìo nelle gambe: Giulia Scarano camminando come una sonnambula, senza parlare.