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nella lava 137


pel loro appetito. Diceva loro il signor Canavacciuolo, napoletano arguto:

— Santa Lucia vi salvi la vista, signorine mie, perchè l’appetito va bene. —

Ora, al pianoforte un giovanotto scarno, pallido, dalle tempie vuote, dal soprabito stinto si era seduto e suonava una polka. Il pianoforte era scordato e la polka strideva: ma quelle ragazze, tutte, erano prese dal brivido del ballo. Enrichetta Caputo crollava il capo in misura, scordandosi la sua povertà. Riccarda Galanti canticchiava il motivo della polka, le De Pasquale, le biondine incipriate, si riversavano sulle sedie, prese da un certo entusiasmo. Caterina Borrelli, faceva ballare le sue lenti, intorno al suo dito indice.

Tutte quelle ragazze si lasciavano andare alla passione giovanile pel ballo, a quel formicolìo fisico e morale a cui nessuna di loro resiste, la più brutta, la più storta. Financo Maria Jovine, la pallida e bruna fanciulla zoppa, tutta elegante, tutta profumata, piena di merletti, coi guanti che le salivano sino al gomito, con l’ombrellino dal manico di avorio scolpito, col grande ventaglio dipinto da un pittore, la povera zoppina che aveva centomila lire di dote e che non trovava marito, financo Maria Jovine, seduta accanto a sua madre, una bella donna ancora giovine, batteva la misura col ventaglio sulle dita, ella, la misera zoppina che non poteva ballar mai. A un tratto la musica finì: tutte quelle testine, quelle mani frementi, quei piedini in moto, si arrestarono. Il suonatore, pagato dal signor Canavacciuolo, per rallegrare la società, si era levato e sembrava più meschino, più rattrappito, in