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10 telegrafi di stato


Ventaglieli? Assunta era di servizio nel pomeriggio, quel giorno non aveva obbligo di levarsi presto: certo, felice, lei dormiva profondamente. Andare a prendere Caterina Borrelli, che abitava alla Pignasecca? Che! Caterina Borrelli era una dormigliona impeninente, che si alzava alle sette meno un quarto, si vestiva in sei minuti e arrivava all’ufficio correndo, ridendo, sbadigliando, col cappello di traverso, la treccia che si disfaceva, la cravatta a rovescio, e rispondeva vivamente all’appello: «presente!» Tutte, tutte dormivano ancora, le fortunate. Un’amarezza si diffondeva nella buona anima di Maria Vitale: le pareva di esser sola sola, nel vasto mondo, condannata a dormire scarsamente, condannata ad aver sempre freddo e sonno, mentre tutte le altre dormivano, al caldo, nella felicità intensa e profonda del riposo. E l’amarezza era anche senso di abbandono, disgusto della miseria, dolore infantile: chinando il capo come a rassegnazione, entrò nella chiesa dello Spirito Santo, macchinalmente, per rifugio, per conforto.

Subito, quella penombra sacra, quell’aria molle e umida, non fredda, la calmarono. Sedette in uno dei banchi di legno dipinto, quello dei poveri che non hanno il soldo per la sedia di paglia, e appoggiò il capo alla spalliera del banco che aveva innanzi. Ora pregava quietamente, dicendo un Gloria, tre Pater, tre Ave, tre Requiem, come è prescritto, quando si entra a caso in chiesa e non vi sono funzioni sacre. Poi raccomandò a Dio l’anima della nonna che era morta l’anno prima, la salute di sua mammà, di suo papà: nominava i fratelli, le sorelle, il compare, i superiori, i viaggiatori