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216 Il convegno


vedendo l’adorata immagine che gliel’aveva data, come una magica promessa di bene!

Quasi mezzanotte. Il fuoco si covriva di cenere, nel caminetto; la stecca che sfogliava i libri era caduta dalle mani di Paolo, a terra; non un rumore saliva dalla deserta via di Costantinopoli, dove egli abitava; non un rumore nella sua stanza. L’ampio paralume concentrava la luce in un cerchio presso la gran poltrona dove egli giaceva sdraiato; e il resto della stanza era in penombra. Egli non vedeva più, fra le palpebre socchiuse, le sferette dell’orologetto, su cui ancora era fissato il suo sguardo; e tutto si era rallentato in lui, il pensiero e il sentimento, nel sonnambulismo di una indicibile, ma torpente amarezza. Era voltato sopra un fianco, con la faccia appoggiata ai cuscini di raso e le mani abbandonate lungo la persona. A un tratto, di lontano, gli parve che avessero aperta e richiusa la porta di casa. Chi poteva venire, a quell’ora? Nessuno. Era una fantasia. Ma poco dopo gli sembrò che si