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idilio di pulcinella. 259

trapelava dalla fronte stretta e bianca, dalla linea decisa del mento: non era bella, ma aveva una di quelle fisonomie spiccate, perfettamente individuali, che non si possono più dimenticare. Con lei stava una signora matura, vestita onestamente di nero, con un volto molto somigliante alla giovinetta, ma le cui linee erano più dolci, quasi ammollite dai capelli bianchi e da un benevolo sorriso: sua madre, forse.

Ma Gaetano non si curava di tutti questi particolari, era preoccupato dalla gravità della fanciulla. Non era malinconia, non era dolore, non era neppure indifferenza: il sentimento che si leggeva sul viso di lei, era un’aria di serietà superiore, quasi inconsciente, certo naturale. Egli si chiedeva perchè una giovinetta, neanche vestita di nero, nell’età del riso, nel teatro dove si andava per ridere, si niegasse alla gioia. Ora ella parlava lentamente con la sua compagna, senza gestire, con uno sguardo intelligente, muovendo appena le labbra: che diceva? Quale strana apparenza era la sua! Tutti ridevano, ella no; tutti si divertivano, essa non si annoiava; che faceva, che pensava dunque? Rivolgendo in sè queste idee, Gaetano rimaneva col viso incollato alla sudicia tela del sipario, con l’occhio fisso sulla figura pallida della fanciulla, perduto nelle sue supposizioni, tormentato un poco da quel problema ventenne che stava nel palco di prima fila.

— Fuori scena! — gridò il buttafuori.

Suo malgrado Gaetano dovette rientrare nelle quinte; giunto là gli parve di aver avuto un’idea luminosa, un’idea che gli fece piacere e dispiacere