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o giovannino o la morte 323

quando s’inginocchiò vicino all’altar maggiore, nella bella e vecchia chiesa piena di devoti. Donna Orsolina in ginocchioni, buttata sopra una sedia, pregava fervidamente, mentre i figli restavano stupiditi dalla musica, taciturni, un po’ vergognosi; don Vincenzo Manetta aveva messo in terra un fazzoletto di colore e vi aveva appoggiato un ginocchio, le mani congiunte sul pomo del bastone, la testa appoggiata sulle mani, il cappello sopra una sedia accanto a lui, e alla moglie ogni tanto:

— Elisa, il rosario delle anime del purgatorio.

— L’ho detto.

— Elisa, la devozione per la buona morte, a Sant’Andrea Avellino.

— Ora la dico.

— Elisa, i sessanta gloria, ricordati.

Seduti uno accanto all’altro, donna Olimpia e don Alfonso Ranaudo sorridevano fra loro. sorridevano agli inchini dei preti, nella messa cantata, sorridevano ai colpi d’incensiere dei chierici. Un sibilo usciva dalle secche labbra di Carminella, la pinzochera, che pregava rapidamente, macchinalmente; solo donna Gabriella ancora agitata, ancora calda d’ira, in collera con gli altri, restava in chiesa, tentando invano di pregare, consolandosi solo guardando i suoi braccialetti, sentendo i suoi anelli sotto la pelle dei guanti, sentendo il peso degli orecchini di oro, perle e brillanti alle grasse orecchie. Certo gli altri avevano il cuore