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terno secco 145

serve per far la prova. Chè ce li avete cinque soldi, Federico? Giochiamo mezza lira in due.

— Sempre a servirvi — fece questi galantemente. — Volete che metta anche i vostri?

— Scusate, scusate — fece la fanciulla alteramente — a questo ci devo pensare io. Se no, il gioco non va. Vi fidate che faccia io la giocata e che conservi il biglietto?

— Sta in buone mani — disse l’innamorato, galantemente...

E si divisero, lui per ritornare alla sua bottega dove cominciava ad affluire gente, lei per avviarsi lentamente al banco del lotto, in piazza Santa Maria la Nova. Ma zì Domenico lo sciancato rimaneva immerso nelle sue cabale, crollando il capo, sorridendo, rialzandosi gli occhiali sul naso tanto che vide il piede di rachitico del giudice Scognamiglio, che si era posato sul banchetto, per la lustratura. Il giudice piccolo e gobbo, dalla palandrella di panno nero e dal panciotto, dal cappellino di paglia adorno di un largo nastro nero, battè il piccolo piede, con impazienza, per farsi servire presto.

— Cerco scusa a Vostra Eccellenza — fece lo sciancato, tutto confuso — eccomi pronto.

E battè vivamente con la spazzola sul banchetto, mentre soffiava la polvere dalla picciola scarpa del giudice Scognamiglio.

— Sempre numeri, sempre numeri, Domenico — disse severamente il magistrato.