Pagina:Senso.djvu/259


senso 257

l’acqua verde, del cielo stellato, della luna d’argento, dei tramonti d’oro, e sopra tutto della gondola nera, in cui, sdraiata, mi lasciavo andare ai più voluttuosi capricci della immaginazione. Nei calori gravi del luglio, dopo una giornata di fuoco, il ventolino fresco mi accarezzava la fronte andando in barca tra la Piazzetta e l’isola di Sant’Elena o, più lontano, verso Santa Elisabetta e San Nicolò del Lido: quello zeffiro, impregnato dell’acre profumo salso, rianimandomi le membra e lo spirito, pareva che bisbigliasse nelle mie orecchie i misteri fervidi dell’amor vero. Cacciavo nell’acqua sino al gomito il braccio nudo, bagnando il merletto che ornava la corta manica; e guardavo poi cadere una ad una dalle mie unghie le gocciole somiglianti a brillantini purissimi. Una sera tolsi dal dito un anello, dono di mio marito, dove splendeva un grosso diamante, e lo gettai lontano dalla barca in laguna: mi parve di avere sposato il mare.

La moglie del Luogotenente volle condurmi un giorno a vedere la galleria dell’Accademia di belle arti: non ci capii quasi nulla. Poi con i viaggi, con la conversazione dei pittori (uno, bello come Raffaello Sanzio, voleva ad ogni costo insegnarmi a dipingere) qualche cosa ho imparato; ma allora, benchè non sapessi niente, quell’allegrezza di colori, quella sonorità di rossi, di gialli, di verdi e di azzurri e di bianchi, quella musica dipinta con tanto