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Oramai s’è fatto tardi, comincio ad avere fame, cammino sotto una incessante pioggia cercando di individuare il ristorante, dove di solito mi fermo a cena. Appare la scritta ‘Mariola’, una bella donna di quasi settant’anni occhi azzurri trasparenti davvero come l’acqua del mare, capelli rossi da sempre come le unghie consumate in cucina. E’ sola con un’aiutante della sua età e un cameriere. Olimpio. Uno che consiglia in ogni caso patate bollite ché contengono zolfo. La luce al neon trasmette il bianco calce sui visi pallidi dei clienti, qualcuno esce per qualc’altro che entra, i presenti se ne sono andati, stalattiti, seduti da ieri, sono annosi cresciuti in quel posto, tre di essi hanno un trattamento diverso anche dagli affezionati. Mi piace pensare che siano ancora innamorati della locandiera e che alla fine, per la sua ostinazione, si appagano col suo pasto caldo. La pioggia di prima picchia forte sui vetri, le raffiche, come le domande di Mariola, sono infinite, là fuori è rigido, è scuro, ma si sta meglio che al mare. D’altronde ho sempre odiato i cieli limpidi, di quelli che la mattina presto si vede anche la Yugoslavia. Mi piace la pioggia, la nebbia e le giornate uggiose, il fango invece della polvere che mi fa allergia. Quattro amici ubriachi discutono d’arte, mi allontano.





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