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412 l'istoria del concilio tridentino


importi danni al sentimento1». Perciò il Bianchi Giovini, pure riconoscendo che un’edizione veramente buona non si sarebbe potuta condurre che a Venezia, mediante un accurato raffronto delle stampe col manoscritto, s’accontentò, pago delle assicurazioni del Gamba, di riprodurre l’edizione del 1757, tenendo presente anche la londinese del 1619.

Analogo scrupolo condusse ad analoga richiesta il Barbèra, quando si accinse alla ristampa del 1858. «Persone autorevoli di Venezia (egli avvertiva), Agostino Sagredo ed Emmanuele Cicogna, mi assicurarono per lettera che nessuna variante notabile avevano trovata nel saggio di lettura dell’autografo, fatto a riscontro della mia stampa»2. Perciò anche questa volta l’Istoria venne ripubblicata «ridotta alla primitiva lezione», ossia... all’edizione londinese. E sarebbe giá stato qualche cosa. Ma amore al vero ci obbliga di soggiungere che la ristampa fu condotta con assai poca cura, sicché in essa non soltanto continuano ad aver cittadinanza moltissimi errori della londinese, ma s’incontrano pure grossolani errori nuovi, intere frasi cadute nella composizione, sostituzione di parole. Le correzioni stesse lasciano molto a desiderare, spesso peggiorano la primitiva lezione. Concludendo, tutte le ristampe dell’Istoria presentano le dannose conseguenze di due gravi errori: essersi gli editori accontentati della stampa londinese, nella persuasione ch’essa fosse fedele al dettato sarpiano; avervi introdotto (oltre a strafalcioni involontari) correzioni arbitrarie, che spesso peggiorano quel testo, giá di per sé tanto scorretto.

Sorge qui spontanea una domanda nei riguardi della sempre affermata identitá fra il manoscritto e la stampa londinese. Trattasi di affermazione sincera e comprovata? Non è da dubitarsi che un raffronto, sia pure saltuario, del manoscritto con le stampe quei valentuomini non trascurassero; ma resta sempre strana l’insistenza con cui (nonostante le discrepanze sulle quali era impossibile che sorvolasse il loro criterio filologico, anche se assai piú

  1. A. Bianchi Giovini, Biografia di Fra Paolo Sarpi, 2a ediz. originale con correz. e aggiunte dell’A., Torino, Soc. Editr. Ital., 1850, vol. II, p. 277.
  2. G. Barbèra, Memorie di un editore, Firenze, 1883, p. 142. Cfr. anche Annali bibliografici e catalogo ragionato delle edizioni di Barbera, Bianchi e C. e di G. Barbèra etc., Firenze, 1904, pp. 27-29. Ancor piú categorica raffermazione del Cantú che, avendo esaminato il manoscritto, assicura ch’esso «non iscatta d’un punto dallo stampato». (In Gli eretici d’Italia, Torino, 1864-1866, voi. III, p. 190).