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408 l'istoria del concilio tridentino


vescovo di Segna (Zengg), poi arcivescovo di Spalato (dopo essere uscito dalla Societá dei gesuiti), il De Dominis, durante la lotta fra Venezia e la santa sede, parteggiò, o per lo meno simpatizzò per la Serenissima, il che a Roma non gli venne perdonato e gli fu d’ostacolo a salire a gradi piú alti. Valido propugnatore della riforma ecclesiastica, si guadagnò l’avversione del clero dalmata, che l’accusò alla curia romana d’essere incline al protestantesimo. Perciò, temendo i fulmini del sant’uffizio, nel 1616 passò

    defesa e all’espugnazione dell’eresie e abusi, converte ella all’oppressione di essa Chiesa, per farsela schiava sotto a’ piedi. Servirono giá i sacri concili per iscoprire gli errori, gli abusi e le falsitá; ma negli ultimi secoli, dopo che li pontefici romani cotanto s’ingrandirono, facendosi de ministri e servitori, patroni e monarchi della Chiesa, temendo d’essere appunto nelli sacri concilii ricoperti per quello che sono, e anco reformati e ridotti a quello che devono essere, con invenzioni e stratagemmi diabolici hanno o sbanditi e estinti i veri concili, o guasti e corrotti, e anco oppressi quelli che talvolta col loro sforzato consenso si sono radunati, ovviando con maravigliose arti, fraudolenze e violenze ancora che tali concili non potessero cercar la veritá, ma all’incontro servissero a loro di mezzo d’accrescere tanto piú la loro grandezza, e d’opprimere affatto la libertá di santa Chiesa. Ciò s’è veduto chiaramente nell’ultimo concilio di Trento, il quale per tanto legittimo, puro e santo a noi viene essere venduto, e pure tutto fu pieno di frodi, artifici umani, passioni, sforzi, violenze e inganni, nella presente Istoria diligentemente scoperti e minutamente raccontati. Deve in vero attribuirsi piuttosto alla gran forza della veritá e alla disposizione della divina provvidenza, che ad umano consiglio, che un’opra tale dovesse uscire dalle mani di persona nata e educata sotto l’obedienza del pontefice romano. Io ho conosciuto l’autore, persona in vero di molta erudizione, di gran giudicio e integritá, e di rettissima intenzione: dimostrava in sé zelo sincerissimo che le discordie ecclesiastiche si componessero: in quella cattivitá serviva in modo che però piú colla retta conscienza che col comune consueto si regolasse. E se bene non udiva volentieri le soverchie depressioni della chiesa romana, nondimeno aborriva anco quelli che gli abusi d’essa, come sante instituzioni, defendessero: e nel rimanente era della veritá amico singolare, e d’essa tenacissimo; onde professava senza rispetto alcuno quella, dovunque ella fusse, doversi ricevere e abbracciare. Questa sua fatica, a me e a pochissimi di lui molto confidenti nota, reputai io degna d’essere guidata alla luce, onde m’affaticai non poco per cavargliene copia dalle mani; e avuta questa preciosa gioia, da lui poco stimata, non ho giudicato doversi ella piú tener occulta, quantonque io non sappia quello fusse per sentire esso autore, o come avesse ad interpretare questa mia risoluzione di pubblicarla. Bene son io certo ch’egli per l’obbligo comune alla veritá, e per il zelo verso la puritá della religione, contra le depravazioni tanto inescusabili, averebbe dovuto contentarsene. Non dubitai io giá mai ch’egli avesse piena notizia delle supreme qualitá che rendono la Maestá vostra a tutto ’l mondo conspicua, onde ben averebbe dovuto esser devotissimo osservatore delle eroiche sue virtú, e godere grandemente ch’ella divenisse padrona delle pie fatiche da lui fatte; e in consequenza ratificare per cosa ben fatta, e rallegrarsi che quelle fussero per mezzo mio capitate nelle piú nobili e degne mani ch’abbia l’Europa e terra tutta; d’un re, prodigio del presente mondo in dot¬