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390 l'istoria del concilio tridentino


non era ubbligato; diede parola di non derogarne mai, se non per evidente e urgente causa, e con consenso delli cardinali. Diede la cura a Morone e Simonetta di star attenti se in consistoro fosse proposto o trattato cosa alcuna contraria, e avvertirnelo; rimedio molto lieve per ovviare le transgressioni, perché delle concessioni che si fanno in Roma, una centesima parte non si spedisce in consistoro. Mandò li vescovi alla residenzia, e ordinò di valersi nel governo della cittá di Roma e dello stato ecclesiastico dell’opera dei protonotari e referendari.

Ma se ben il pontefice per il fine del concilio fu liberato dalla gran molestia che sentiva, restarono però reliquie in tutti li regni, che portavano nove difficoltá. Di Spagna s’ebbe avviso che il re aveva sentito con dispiacere e risentimento il fine del concilio e che aveva deliberato di congregar inanzi a sé li vescovi e agenti del clero di Spagna, per trovar modo come si doveva eseguire. E non fu l’avviso falso, perché non solamente tutto quello che si fece in Spagna nel recever ed esequire li decreti del concilio in quell’anno, parte la primavera e parte l’autunno, fu per ordine e deliberazione presa nel regio consiglio; ma alle sinodi che si fecero mandò anco il re li suoi presidenti, facendo proponer quello che a lui piacque e che compliva per le cose sue; con molto disgusto del pontefice, al quale dispiaceva che il re si assumesse tanto sopra le cose ecclesiastiche; del che però non fece alcuna dimostrazione con li ministri di quello, per il disegno ch’aveva di valersi di ciò in altra opportunitá da lui disegnata, della quale al suo luoco si dirá.

In Francia, avendo il presidente Ferrier, mentre stette in Venezia, fatto osservazioni sopra li decreti delle due ultime sessioni celebrate dopo il partir suo, e mandatele alla corte, il Cardinal di Lorena al suo arrivo ebbe molti assalti e reprensioni, come quello che aveva consentito a cose pregiudiciali al regno. Dicevano che con le parole del primo capo di riforma della penultima sessione, dicendosi che il papa ha la cura della Chiesa universale (in latino: sollicitudinem universæ Ecclesiæa ), aveva ceduto il ponto che egli e tutti li vescovi