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libro ottavo - capitolo ix |
VIII. Che la Chiesa commette errore, separando li maritati a tempo terminato o indeterminato quanto alla congionzione carnale, o quanto all’abitar insieme;
IX. Che i chierici di ordine sacro o i professi regolari possino contraer matrimonio, e che tutti, che non sentono il dono della castitá, possino maritarsi, essendo che Dio non nega il dono a chi glielo dimanda;
X. Chi anteponerá lo stato coniugale a quello della virginitá o castitá;
XI. Che la proibizione della solennitá nuziale in certi tempi dell’anno sia superstizione, o dannerá le benedizioni e altre ceremonie;
XII. Che le cause matrimoniali non pertengono alli giudici ecclesiastici.
Li decreti della riforma del matrimonio contenevano:
I. Che quantonque sia cosa certa che li matrimoni secreti sono stati veri e legittimi mentre la Chiesa non li ha annullati, e che la sinodo anatematizza chi non li ha per tali, insieme con quelli che asseriscono li matrimoni contratti dai figliuoli di famiglia senza il consenso de’ padri esser nulli, e che i padri possono approvarli e reprovarli; nondimeno la Chiesa santa li ha sempre proibiti e detestati. E perché le proibizioni non giovano, la sinodo comanda che il matrimonio, inanzi sia contratto, sia denonciato nella chiesa tre giorni di festa; e non scopertosi alcun impedimento, si celebri in faccia della chiesa, dove il parroco, interrogati l’uomo e la donna, udito il loro consenso, dica: «Io vi congiongo in matrimonio in nome del Padre, Figlio e dello Spirito Santo», o usi altre parole consuete in quella provincia. Remise però la sinodo all’arbitrio del vescovo il tralasciar le denonciazioni; ma dechiarò inabili a contraer matrimonio quelli che tentassero contraerlo senza la presenza del parroco o altro prete di tal autoritá, e doi o tre testimoni, irritando e annullando tali contratti con pena alli contraffacenti. Dopo esorta li congiugati a non abitar insieme inanzi la benedizione, e comanda al parroco di aver un libro, dove li matrimoni cosí