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234 l'istoria del concilio tridentino


Ebbe il pontefice in questo tempo un’altra negoziazione assai dura. Perché dovendo il re de’ romani mandar ambasciatori per dar conto dell’elezione sua, non volle far come gli altri imperatori e re, quali, non essendovi alcuna difficoltá, promisero e giurarono tutto quello che alli pontefici piacque; ma egli, avendo rispetto di non offender li principi e altri protestanti di Germania, volse prima che si dechiarasse che parole avesse da usare. Posta la cosa in consultazione de’ cardinali, quelli deliberarono che dovesse dimandar la conferma dell’elezione e giurar obedienzia secondo l’esempio di tutti gli altri imperatori. Al che egli rispose che quelli furono ingannati, ed egli non era per acconsentir cosa che dovesse esser poi presa a pregiudicio de’ suoi successori, come le azioni de’ suoi precessori si adoperavano a pregiudicio suo; e che era un dechiararsi vassallo; e propose che l’ambasciator suo userebbe queste parole: «che la Maestá sua presterá ogni reverenzia, devozione e ossequio alla Santitá sua e alla sede apostolica, con promessa non solo di conservare, ma di ampliar quanto potrá la santa fede cattolica». Non potendo concordare, durò il negoziato tutto quest’anno; e credettero a Roma d’averci finalmente trovato buon temperamento, proponendo che giurasse obedienzia non come imperatore, ma come re d’Ongaria e di Boemia, poiché dicevano non potersi negare che il re Stefano l’anno della nostra salute 1000 non donasse il regno alla sede apostolica, riconoscendolo poi da lei col titolo regio e facendosi vassallo, e che Vladislao duca di Boemia non ricevesse da Alessandro II la facoltá di portar la mitra, obbligandosi di pagar cento marche d’argento ogn’anno. Le qual cose consegliate in Germania, e veduto non essercene altri documenti che l’affermativa di papa Gregorio VII, furono derise, e rispostogli che desideravano esempi piú recenti e piú certi, e titoli piú legittimi. Andarono inanzi indietro méssi con varie proposte, risposte e repliche; delle quali per non parlar piú, sará bene riferir al presente l’esito. Il qual fu che venti mesi dopo arrivò in Roma il conte d’Elfestein, ambasciator di quel re, col quale si renovarono le medesime trat-