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libro settimo - capitolo xi


nale di Lorena il progresso di esso; e volendo anco raccordar il modo, non avendo piú spirito, disse che il Signor Iddio gli aveva proibito l’andar piú oltre, ma che Sua divina Maestá parleria ella a tempo e luoco. E cosí passò senza dir piú parola.

Il conte di Luna dalla corte cesarea scrisse al secretario Martino Gastelun, e mandò copia d’una lettera scrittagli dal re, dove Sua Maestá avvisava che il pontefice s’era doluto seco delli prelati spagnoli; e se bene ella pensava ciò esser avvenuto per non esser Sua Santitá ben informata, tenendo esso che li suddetti prelati si mostrino devoti verso la sede apostolica, nondimeno ordinava al conte che, gionto a Trento, volesse tenerli la mano sopra, acciò favorissero le cose del papa, salva però la loro conscienzia, e far in modo che Sua Santitá non avesse da dolersi di lui. E in questa sustanzia il medesimo conte scrisse a Granata, Segovia e Leon.

Il giorno 18 marzo, che per l’esequie di Seripando non si tenne congregazione, li ambasciatori francesi fecero una solenne comparsa inanzi alli doi legati. Fecero indoglienza che in undeci mesi dopo l’arrivo loro in Trento, dal primo giorno sino allora, avessero fatto intender le desolazioni di Francia e li pericoli della cristianitá per le differenzie della religione, ed esposto che il piú necessario e principal rimedio era una buona e intiera riforma dei costumi e qualche moderazione delle leggi positive, e sempre li sia stata data buona speranza e graziose parole, senza che mai ne abbiano veduto alcun effetto: che si fugge quanto si può la riforma; che la piú parte de’ padri e teologi sono piú che mai duri e severi a non condonar cosa alcuna alla necessitá del tempo; concludendo che li pregavano a considerare quanti uomini dabbene muoiono prima di poter far qualche buon’opera per il pubblico servizio: di che ne danno esempio li cardinali Mantoa e Seripando. Però volessero far essi qualche cosa mentre hanno tempo, per discarico delle loro conscienze. Risposero li legati dispiacer loro l’andar delle cose in longo, ma di questo esserne causa li accidenti sopravvenuti della morte di Mantoa e Seripando.