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128 l'istoria del concilio tridentino


operare che facessero ufficio col pontefice che il concilio proseguisse, che le pratiche fossero moderate e li padri lasciati in libertá; altrimenti in Francia si sarebbe fatto accordo che ognuno vivi a modo suo sino ad un concilio libero: che questo non è tale, non potendosi né trattare né risolvere se non quello che alli legati piace, e li legati non fanno se non quello che il papa vuole: che egli averebbe con pazienza sopportato fino alla futura sessione, e non vedendo le cose andar meglio, farebbe li suoi protesti, e con li ambasciatori e prelati tornerebbe in Francia per far un concilio nazionale, dove forse la Germania concorrerebbe: cosa che a lui sarebbe di gran dispiacere, per il pericolo che la sede apostolica non fosse poi riconosciuta.

Andarono in quei giorni da Trento a Roma e da Roma a Trento frequenti corrieri, avvisando li legati le quotidiane contradizioni che piovevano, e sollecitando il pontefice la proposta delli canoni mandati. E li francesi in Roma fecero col papa la medesma querela che faceva Lorena in Trento, con le stesse minacce di concilio nazionale e d’intervento d’alemanni. Ma il papa, solito sentirne spesso, disse che non si sgomentava di parole, non temeva concili nazionali, sapeva li vescovi di Francia esser cattolici, e che la Germania non si sottometterebbe a’ loro concili. Diceva che il concilio non solo era libero, ma si poteva dir quasi licenzioso; che le pratiche fatte dagl’italiani in Trento non erano con sua participazione, ma nascevano perché li oltramontani volevano conculcar l’autoritá pontificia: che egli aveva avuto tre buone occasioni di disciogliere il concilio, ma voleva che si continuasse; e sperava che Dio non abbandonerebbe la sua Chiesa, e ogni tentativo contra quella promosso tornerebbe in capo delli innovatori.

In queste confusioni, essendo partito il Cinquechiese per andar alla corte cesarea, per dar conto a quella Maestá delle cose del concilio e farli relazione dell’unione de’ prelati italiani, ed essendosi scoperto che Granata e li suoi aderenti li avevano dato carico di operare con l’imperatore che scrivesse al re cattolico sopra la riforma e residenzia, acciocché essi potessero in quelle e nelle altre occasioni dir liberamente