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libro settimo - capitolo vii


persuasioni non giovavano. Sopra li articoli della instituzione scrisse che il dire assolutamente l’instituzione dei vescovi esser de iure divino era opinione falsa ed erronea, perché la sola potestá dell’ordine era da Cristo, ma la giurisdizione era dal romano pontefice; e in tanto si può dire da Cristo, perché l’autoritá pontificia è dalla Maestá sua, e tutto quello che il papa fa, lo fa Cristo mediante lui. E scrisse per risoluzione che o vero si tralasciassero assolutamente le parole de iure divino, o vero si proponesse nella forma che egli mandava, nella quale si diceva «Cristo aver instituito li vescovi, da esser creati per il romano pontefice, con distribuzione di quale e quanta autoritá pareva a lui, per beneficio della Chiesa, darli; e con assoluta potestá di ristringere e ampliare la data, secondo che da lui è giudicato». Scrisse appresso che nel particolare della residenza, essendo cosa chiara che il pontefice ha autoritá di dispensare, fosse per ogni buona cautela reservata l’autoritá sua nel decreto; nel quale non si poteva metter de iure divino, come aveva ben provato il Catarino; dal parer del quale, come cattolico, non si dovessero partire. E quanto al tener la sessione, scrisse confusamente che non fosse differita oltre li quindici giorni, e che non si celebrasse senza aver le materie in ordine, acciò non fosse presa occasione da’ maligni di cavillare.

Per Trento passò una solenne ambasciaria del duca di Baviera, inviata a Roma per ottener dal papa la comunione del calice. Ebbe audienza dalli legati, e trattò in secreto col cardinale di Lorena. Fu causa di rinnovar la controversia, giá sopita, in quella materia, essendo li spagnoli e molti delli italiani (se ben per voti della maggior parte s’era rimessa la causa al papa) di parere che fosse pregiudicio al concilio se durante esso quell’uso s’introducesse. Si posero anco tutti li padri in moto, per esser da Roma gionte lettere a diversi prelati che s’averebbe sospeso il concilio; la qual fama fu anco confermata da don Giovanni Manriques, che per Trento passò da Germania a Roma.

Ma li legati, ricevute le lettere del pontefice, giudicarono impossibile eseguir li ordini da Roma venuti, e che fosse di