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libro terzo - capitolo iii 53


da gran numero de prelati, e rincontrò appresso la cittá con molti segni di allegrezza: che diede da parlare assai, o fosse stato questo incontro per caso, o fosse il cardinale andato a studio, sotto altro colore, a questo effetto d’incontrarlo. Egli era solito dire che l’amava e favoriva come artefice della sua fortuna, atteso che dagli astrologi era predetta gran dignitá e ricchezze a quel giovine, quali non poteva aver se egli non ascendeva al papato. Subito creato pontefice, volle che Innocenzo (cosí era il nome del giovine) fosse adottato per figlio di Baldoino di Monte fratello suo; per qual adozione si chiamò Innocenzo di Monte; e conferitogli molti benefici, il giorno sopra detto lo creò cardinale, dando materia di discorsi e pasquinate alli cortigiani romani, che a gara professavano dire la vera causa d’un’azione tanto insolita, per congetture di vari accidenti passati.

Carlo, inanzi che dei Paesi Bassi partisse, fece pubblicare lo stabilimento dell’inquisisione in quei stati: per il quale si commossero di tal maniera li mercanti tedeschi e anglesi, che in grandissimo numero si trovavano in quelle regioni, ed ebbero ricorso alla regina Maria e alli magistrati, dimandando mitigazione dell’editto, altramente protestando di voler partire. Per il che quelli che dovevano esequire l’editto e instituire l’inquisizione trovarono impedimento quasi per tutto, onde fu sforzata la regina Maria per questa causa andar a trovar Cesare, che era in Augusta per celebrare la dieta, acciocché quella regione frequentissima non si desertasse, e nascesse qualche notabilissima sedizione. Cesare con gran difficoltá si lasciò persuadere; pur in fine si contentò di levar il nome d’inquisizione, che era odioso, e di revocare tutto quello che toccava li forestieri nell’editto, restando però fermo quello che apparteneva alli naturali del luoco.

Fece l’imperator opera col pontefice, con sue lettere e uffici dell’ambasciatore, che si riassumesse il concilio di Trento, pregandolo d’una precisa risposta, non come quella che diede

al d’Avila, né meno con l’ambiguitá usata nel trattare col cardinale Paceco; ma si lasciasse intendere le capitulazioni che