Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/416

410 l'istoria del concilio di trento


inferivano alcuni: «Adunque insieme tutte le grazie, poiché a chi ha tutto Cristo niente può mancare, ed egli solo abbondantemente basta». Altri in contrario dicevano non esser illazione necessaria, né meno probabile, che ricevendo tutto Cristo si ricevi ogni grazia; perché anco li battezzati, secondo san Paulo, sono tutti ripieni di Cristo, e nondimeno alli battezzati si danno gli altri sacramenti. E perché alcuni fuggivano la forza della ragione, con dire che gli altri sacramenti sono necessari per li peccati dopo il battesimo, era da altri replicato che l’antica Chiesa comunicava immediate li battezzati; onde sí come dall’esser ripieno di tutto Cristo per il battesmo non si poteva inferir che l’eucarestia non donasse altre grazie, cosí per aver ricevuto tutto Cristo sotto la specie del pane non si poteva inferir che altra grazia non s’avesse da ricevere mediante il calice; e meno senza estrema assurditá potersi dire che il sacerdote nella messa, avendo ricevuto il corpo del Signore, e per consequenza tutto esso, nel bevere il calice non riceva grazia, perché il beverlo altrimenti sarebbe un’opera indifferente e vana. Poi esser deciso dalla comun dottrina della scola e della Chiesa che per ogni azione sacramentale si conferisce, per virtú dell’opera medesima che dicono ex opere operato, un grado di grazia. Ma il bevere il sangue di Cristo non si può negare esser azione sacramentale; adunque né meno potrá negarsegli la sua grazia speciale. In questa controversia il maggior numero de’ teologi tenne che, non parlandosi della quantitá di grazia rispondente alla disposizione del recipiente, ma di quella che li scolastici «sacramentale» chiamano, quella fosse uguale in chi riceve una specie sola, e in chi ambedua. L’altra opinione, se ben da manco numero, era difesa con maggior efficacia.

Sopra questo articolo, non so con che pensiero o fine, passò molto inanzi frate Amante servita bresciano, teologo del vescovo di Sebenico, uno delli fautori di questa seconda opinione, il quale portando la dottrina di Tomaso Gaetano, che il sangue non sia parte dell’umana natura, ma primo alimento, e soggiongendo non potersi dire che di necessitá un corpo tiri in concomitanza l’alimento suo, inferí che non onninamente