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libro sesto - capitolo iii 363


o di offerta, poi, per farlo piú onorevole, di donativo o presente. E passando inanzi, acciò, essendo debito, non fosse tralasciato, fu coperto con nome di mercede, non dell’ordinatore, ma delli servitori suoi o del notario, o altri che lo serviria nell’ordinazione. Di questo dunque si propose l’articolo, che dell’occorrente nella collazione del beneficio non si poteva parlare, come d’infermitá non curabile con altro rimedio che con la morte.

Sopra questo articolo non fu parlato diversamente per opinione e per affetti, ma li prelati si divisero per qualitá delle persone. Li vescovi ricchi dannavano il ricevere alcuna cosa né per sé né per ufficiali o notari, come cosa simoniaca e sacrilega, portando l’esempio di Giezi, servo del profeta Eliseo, e di Simon Mago, e il severo precetto di Cristo: «Date gratuitamente sí come avete ricevuto», e molte esagerazioni dei Padri contra questo peccato, dicendo che li nomi di donativo spontaneo o di limosina sono colori vani a’ quali l’effetto ripugna, poiché si dá per aver l’ordine, che senza quello non si darebbe; e se è limosina, perché non si fa se non per quell’occasione? Facciasi in altro tempo, diansi gli ordini senza intervento d’alcuna cosa; chi vorrá far la limosina, la fará in altro tempo; ma il mal essere che, se uno dicesse all’ordinatore di dargli per limosina, Laverebbe per ingiuria, né in altro tempo la riceverebbe: per il che non doversi credere di poter ingannar né Dio né il mondo. Concludevano questi doversi far decreto assoluto che non si potesse né dar eziandio spontaneamente, ancorché sotto nome di limosina, né ricever parimente, non solo all’ordinatore, ma né ad alcuno de’ suoi, né meno al notario sotto nome di scrittura o di sigillo, né di fatica, né sotto qualsivoglia altro pretesto.

Ma li vescovi poveri e li titulari in contrario dicevano che sí come il dar gli ordini per prezzo era scellerato sacrilegio, cosí il levar la limosina, tanto da Cristo commendata, distruggere la caritá e disformare a fatto la Chiesa: la stessa ragione in tutto e per tutto militare nelle ordinazioni che nelle confessioni, comunioni, messe, sepolture e altre ecclesiastiche