Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/318

312 l'istoria del concilio di trento


scalini di San Pietro ad esclamar ad alta voce e cridar misericordia, non restando di dire che li prelati di Francia erano infetti di eresia. Il Cardinal Sant’Angelo rispose che non darebbe mai un calice pien di sí gran veneno al populo di Francia in luoco di medicina, e che era meglio lasciarlo morire che venir a rimedi tali. A’ quali l’ambasciator replicò che li prelati di Francia s’erano mossi con buoni fondamenti e ragioni teologiche non meritevoli di censura cosí contumeliosa, come dall’altra parte né era degno dar il nome di veneno al sangue di Cristo e trattar da venèfici li santi apostoli e tutti li Padri della Chiesa primitiva e della seguente per molte centenara di anni, che hanno con sommo profitto spirituale ministrato il calice di quel sangue a tutti li populi.

Il pontefice, entrato in consistoro, per ragionamenti avuti con qualche cardinali e per aver meglio pensato averebbe voluto poter revocar la parola data; nondimeno propose la materia, riferí l’instanza dell’ambasciatore e fece legger la lettera del legato, e ricercò il parere tra li cardinali. Li dependenti da Francia, con diverse forme di parole lodata la buona intenzione del re, quanto alla richiesta si rimisero a Sua Santitá. Li spagnoli furono tutti contrari, usando anco grand’ardire e trattando li prelati di Francia chi da eretici, chi da scismatici e chi da ignoranti, non allegata altra ragione, se non che tutto Cristo è in ciascuna delle specie. Il cardinale Paceco considerò che ogni diversitá de riti nella religione, massime nelle ceremonie piú principali, in fine capitano a scisma, e anco ad inimicizia: al presente li spagnoli in Francia vanno alle chiese francesi, li francesi in Spagna alle spagnole: quando comunicheranno cosí diversamente, non ricevendo li uni la comunione degli altri, saranno costretti far chiese separate; ed ecco nata la divisione.

Fra’ Michiel Cardinal alessandrino disse non potersi in alcun modo concedere dal papa de plenitudine potestatis, non per difetto di autoritá in lui sopra tutto quello che è de iure positivo, nel qual numero è anco questo, ma per incapacitá di chi dimanda la grazia: perché non può il papa dar facoltá di far male, ma